News / Varie - giovedì 04 ott 2012 | A cura dell'Ufficio Stampa
Confartigianato e Cna, nel contesto della manifestazione Ravennaambiente 2012, hanno organizzato un convegno sul tema “Per una cultura sostenibile del fare: dal nimby (not in my back yard) al pimby (please in my back yard)” con la presenza dell’autore del libro “La democrazia sussidiaria” che tratta appunto di queste tematiche.
Un tema “caldo” per la nostra provincia, in considerazione della sentenza del TAR dell’Emilia–Romagna che ha riguardato la riconversione dell’ex Zuccherificio di Russi in Centrale elettrica a biomasse.
Come si è dibattuto nel corso del convegno e volutamente non entrando nel merito specifico del caso, occorre ripensare serenamente e in modo costruttivo al metodo con cui i portatori di interesse si trovano ad affrontare situazioni analoghe.
Il dato che è emerso dal convegno sono gli oltre 1000 casi di comitati di “nimby” in Italia, più o meno grandi, che contestano la realizzazione di infrastrutture pubbliche o private che hanno già esaurito l’iter autorizzativo o che sono solo a livello progettuale.
Anche il nostro territorio non è immune, vi sono in atto alcune iniziative di nimby; la riconversione dello Zuccherificio di Russi non è altro che la punta dell’iceberg, se pensiamo alle iniziative di Savarna e Roncalceci, al progetto “Pentagramma” di Cervia, un elenco ovviamente non esaustivo dei vari casi di comitati “nimby”.
Emerge quindi la necessità di regolare le legittime istanze sia del “fare” che del “non fare” dando percorsi e tempi certi per evitare che si ripeta quanto sta succedendo a Russi dove, dopo 6 anni ed altri ne passeranno ancora fino alla sentenza definitiva del Consiglio di Stato, per avere la certezza se fare o non fare la riconversione dello Zuccherificio in Centrale a biomasse.
E’ paradossale che un progetto che supera tutte le procedure autorizzative relative all’impatto ambientale e alla tutela della salute pubblica previste dalle norme non solo italiane, ma anche europee, sia rimesso nuovamente in discussione per aspetti che hanno più il sapore della formalità burocratica–amministrativa.
Ribadiamo che non è nostra intenzione entrare nel merito dei singoli casi o della legittimità delle azioni e determinazioni assunte, ma come Associazioni di rappresentanza dell’impresa riteniamo non solo doveroso, ma un vero e proprio diritto, che l’imprenditoria coinvolta nei vari progetti abbia la certezza di un quadro chiaro e definito su cui operare, investire, programmare.
I percorsi di civica e civile opposizione alle varie opere devono, a nostro parere, essere regolati e regolamentati nei modi e nei tempi. Possono essere riconosciuti degli “stakeholders” che partecipino ai vari momenti, anche istituzionali, dove venga affrontata una determinata progettualità ma ci deve essere anche una riconosciuta “capacità di resa” dove le motivazioni del “fare” siano preponderanti, per evitare un effetto “tela di Penelope” che danneggerebbe la collettività, i cittadini e l’economia.
Il ruolo di un tribunale amministrativo come il TAR non può essere quello dell'arbitro se un’azienda può lavorare o no. In un Paese normale questo avviene sporadicamente, in Italia sta diventando, purtroppo, la regola.
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